Pippo Fava e il concetto etico del giornalismo
Pippo Fava e il concetto etico del giornalismo
"Gesù li chiamò attorno a sé e disse: ‘Come sapete, quelli che pensano di essere sovrani dei popoli comandano come duri padroni. Le persone potenti fanno sentire con la forza il peso della loro autorità. Ma tra voi non deve essere così. Anzi, se uno tra voi vuole essere grande, si faccia servo di tutti; e se uno vuol essere il primo, si faccia servitore di tutti. Infatti anche il Figlio dell'uomo è venuto non per farsi servire, ma per servire e per dare la propria vita come riscatto per la liberazione degli uomini’”. (Mc 10, 42-44)
Stupore (o, piuttosto, sconcerto) e
amarezza, tanta. Sono stati questi i sentimenti prevalenti che abbiamo provato
nel leggere la tua minacciosa e inutilmente pomposa “nota urgente” – ci
ostiniamo a non comprendere l'urgenza di un “decreto” emanato in piena notte -
di “vescovo primate etc.” che rimanda alla ratifica da parte di un cosiddetto
concistoro nazionale composto da ben tre persone (te compreso).
Adesso che è passata l'estate e che le
acque della tua sacra ira si sono forse calmate, desideriamo ribadire quanto ti
abbiamo già comunicato verbalmente, e in parte anche per iscritto, ben prima
del 28 luglio, data del tuo decreto notturno che hai avuto l'eleganza di spammare ovunque
sui social e di inoltrare anche a contatti che nulla o poco avevano e hanno a
che fare con la “tua” - perché sembra, da come la gestisci, che sia di tuo
esclusivo e capriccioso dominio - Chiesa. Immaginiamo col deliberato proposito
di diffamarci o di metterci comunque in cattiva luce.
Circa un anno fa, dietro tua
sollecitazione, Davide Romano ci aveva chiesto se era nostra intenzione entrare
ufficialmente nella Chiesa protestante Unita e iniziare il percorso per
l'ammissione in Chiesa, come si usa dire. Ci abbiamo riflettuto bene e, proprio
considerando i tuoi continui sbalzi di umore, i tuoi immotivati rimproveri a
chiunque non si piegasse immediatamente ai tuoi desiderata, la tua poca
affidabilità - ci hai “piantati” diverse volte e non hai dato mai seguito a
decisioni importanti prese nell'ambito del nostro Sinodo -, il tono spesso
minaccioso e offensivo delle tue comunicazioni, le continue e imbarazzanti
richieste di denaro, per tacere dei tuoi comportamenti strettamente privati,
sui quali intendiamo stendere un velo pietoso, abbiamo deciso di non rispondere
positivamente alla richiesta.
Anzi, in quella stessa sede abbiamo
deciso di tagliare ogni legame con te e con la tua creatura, il tuo piccolo
regno in terra. Decisione che ti abbiamo abbondantemente anticipato anche a
giugno di quest'anno. Pur volendo continuare a seguire Davide, che stimiamo, a
cui vogliamo bene e che tanto si è speso per la nostra “koinonia”.
“Commissariare” la comunità di Palermo -
t’informiamo, qualora non te ne fossi accorto, che dalla tua Chiesa siamo
usciti tutti - e revocare il mandato pastorale a Davide Romano, il quale ti
aveva già detto che in autunno avrebbe lasciato il servizio nella tua Chiesa, è
stata pertanto un'azione puramente vendicativa e, perdonaci, alquanto meschina.
Un'azione che ci ha molto amareggiati e confermati nel nostro proposito.
E ringraziamo, quindi, il Signore per
averci aperto gli occhi in tempo e per ciò che di bello e di positivo abbiamo
ricevuto da questa esperienza.
Preghiamo il Signore che ti aiuti a
trovare quella serenità e quell'amore così necessari per chi lo vuole servire
nei fratelli e non usare il Signore per farsi servire dai fratelli.
Palermo, 1 settembre 2022
Il Concistoro della Comunità "Koinonia"
Anna Lane, Ornella Oddo, Pietro Baldassarre Rizzottolo e Pietro Valenti
Di Joseph Ratzinger non
ho foto da pubblicare ma soltanto qualche lettera di ringraziamento e di
apprezzamento per i libri che di tanto in tanto gli mandavo in dono come
editore. Le missive erano naturalmente vergate e firmate dai suoi collaboratori.
Ho però un piccolo e
trascurabile aneddoto del tempo in cui, come giovane ed entusiasta cronista d’assalto,
mi occupavo di “cose di Chiesa” per un grosso quotidiano.
A quel tempo, l’ex pontefice
emerito era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. Un ruolo
di assoluto primo piano nella Chiesa di allora guidata saldamente dal papa
polacco.
Seppi che sarebbe venuto
a Palermo per una iniziativa organizzata dall’arcidiocesi e proposi al giornale
di intervistarlo. In verità, non speravo che si facesse intervistare da un
cronista quasi sconosciuto ma il mio caposervizio m’incoraggiò a provare
dicendomi un po’ sornione: “Hai il prestigio del giornale alle spalle”.
Mi misi subito al lavoro
per stendere le domande con l’aiuto di un amico teologo, molto brillante ma
poco allineato. L’intervista verteva quasi tutta sul tema testimonianza
cristiana-fede-mafia. Tre pagine fitte di domande. Erano tante ma sapevo che
qualcuna sarebbe stata cassata.
Chiamai la segreteria
della Congregazione per dottrina delle Fede e da lì iniziai un garbato confronto
con il segretario di Ratzinger, mons. Josef Clemens, che quasi ogni giorno mi
mandava, allora si usava il fax, richieste di modifiche delle domande o di eliminazione
di alcune di esse. Dopo una settimana di trattative, mons. Clemens, persona
assai garbata e con un delizioso accento tedesco, mi mandò ciò che erano disponibili
a concedermi: tre domandine assai generiche seguite da tre virgolettati che
altro non erano che brevissimi passaggi dell’intervento che avrebbe tenuto a
Palermo.
Allora ero un giornalista assai
ingenuo e pieno di fervore e rifiutai sdegnato di firmare pubblicare quella che
non era più la mia intervista. Quando ne parlai con un mio collega più anziano
che si occupava anche di Vaticano, mi disse avevo sbagliato a non voler uscire
con l’intervista perché era pur sempre un personaggio assai importante e che,
comunque, con gli altri prelati si usava - e penso si usi ancora - così.